Nella foto: un giornalista con la mascherina in sala stampa a Sydney, Australia, durante una partita della National Basketball League fra Sydney Kings e Perth Wildcats.
(Photo by Paul Kane/Getty Images)
di Keir Radnedge – Delegato AIPS per il calcio
LONDRA, 15 marzo 2020 – Migliaia di giornalisti di tutta Europa sono vittime del coronavirus. Ma non, almeno nella maggor parte dei casi, per l’infezione. Bensì – così come molti altri nel variegato mondo dello sport – perché la situazione attuale sta impedendo loro una normale vita familiare e professionale.
I loro mezzi di sussistenza sono venuti meno e con essi la fonte di reddito con cui pagare tasse, mutui, spese e anche il quotidiano necessario per se stessi e per le loro famiglie.
Naturalmente non sono i soli. Molti altri sono stati colpiti duramente per la paura di contagio della malattia e la conseguente decisione adottata da vari Paesi di chiudere in tutta fretta scuole, università, uffici e locali pubblici per arginare i contatti.
Come nello sport. Per gli operatori della comunicazione sportiva il coronavirus non poteva arrivare in un momento peggiore. Questa, intatti, è un’epoca nella quale internet e le nuove tecnologie stanno causando la perdita di decine di migliaia di posti di lavoro. Una volta, non molto tempo fa, i freelance erano una minoranza; ora, quasi ovunque, sono invece la maggioranza.
Le previsioni iniziali delle varie leghe e federazioni nazionali avevano ipotizzato la ripresa dell’attività per i primi di aprile. Medici e scienziati, a seguito della progressiva espansione della pandemia, sono propensi invece a credere che tutto debba protarsi per altri tre o quattro mesi.
Un piccolo numero di Paesi aveva pensato a qualcosa di assai più contenuto credendo che potesse essere sufficiente il sostegno dal mondo del welfare per affrontare i problemi. Ma, se anche questo fosse possibile, alla luce di quanto sta succedendo non sarebbe che una goccia nell’oceano per i lavoratori resi vulnerabili dalla evoluzione insidiosa della cosiddetta “gig economy” (il lavoro a chiamata, occasionale e temporaneo).
I giornalisti freelance appartengono a questa categoria. Che ne sappiamo? Il blocco dello sport (per quanto tempo ancora?) potrebbe comportare anche la chiusura di pubblicazioni sportive, gettando così nel dramma molti colleghi.
Numerose associazoni di giornalisti dello sport stanno già studiando possibili miure di sostegno.
Un rapporto della federazione della stampa inglese afferma: “Temiano che il fermo dello sport nella nostra nazione possa riguardare molti dei nostri giornalisti freelance causando loro gravi problemi economici. Questa è una categoria basata sul lavoro autonomo, la legislazione corrente non prevede alcuna assistenza statale. Stiamo quindi cercando di vedere se sia possibile qualche forma di intervento che possa essere adottata in circostanze particolari”.
L’associazione dei giornalisti di calcio inglese ha costituito un gruppo di lavoro presieduto dal suo componente Philippe Auclair, non solo per offerire aiuto e supporto a coloro che ne avranno bisogno ma per unire gli sforzi con i membri del parlamento al fine di tutelare la categora dei lavoratori autonomi in generale.
Il presidente di detta associazione Carrie Brown ha detto: “I giornalisti sportivi freelance prevedono uno scenario drammatico ma questa è una situazione senza precedenti che ha interrotto bruscamente ogni opportunità di lavoro. Per quanto ci riguarda vogliamo essere loro vicini in questo momento di grande incertezza e faremo tutto quello che sarà possibile per sostenerli”.
Traduzione tratta dall’articolo pubblicato in data 15 marzo 2020 sul magazine AIPS (Association Internationale de la Presse Sportive)
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