Gianfranco Coppola
In assenza del film di Natale, show affidato al web. Senza freni il gioco della rete – sketch, imitazioni, canzoni, collage fotografici – ma per la rete sul campo bisogna sempre sudare. Alle spalle scivola una settimana in cui è successo di tutto. Come spesso capita a Napoli senza logica, nel calcio in particolare. Come Mazzarri, Benitez, Sarri anche Ancelotti è andato via senza spiegare dove è che ha sbagliato, cosa ne pensi della scelta del patron. A meno che non rientri anche questo nel contratto che prevedeva che il Napoli adoperasse il suo profilo social scrivendo cosa sembrava più giusto ad ADL e al suo staff. Il Napoli nel silurare Ancelotti gli ha rinnovato stima ed amicizia. Viceversa, chissà. I profili social di molti azzurri hanno grondato gratitudine “ a mister Ancelotti per la crescita come uomo e come calciatore”. Che siano anche questi facenti parte del pacchetto tu ci metti la faccia io scrivo? Chissà. Magari un silenzio del tecnico in cambio di una vagonata di complimenti dei suoi ex palafrenieri. Comunque è solo curiosità. Costa fatta capo ha, si dice. Ma quale capo, appunto? La verità è che è sembrato incomprensibile il licenziamento di Ancelotti dopo il meritato passaggio da imbattuto agli ottavi di Champions. Ma bisogna immaginare che ADL abbia saputo con certezza che tra il tecnico e la squadra era tutto finito. Gattuso era stato infatti già bloccato. Ora su Ancelotti demolito da ADL mi sono già espresso: le picconate ad Insigne dopo l’incontro a Castelvolturno tra il capitano e l’allenatore con Raiola e ugola silente Giuntoli sembrò una mossa inopportuna. E lo fu. Peggio alla vigilia di Salisburgo il marchettari rifilato a Callejon e Mertens. Uno cuce, l’altro strappa. Il tutto senza una minima gestione del “messaggio” di un coriandolo solo di strategia societaria applicata al delicato mondo della comunicazione, che non vuol dire solo uno straccio di comunicato stampa. La corsa di Insigne ad abbracciare Ancelotti significò quello che nel calcio succede: segnali non di fumo, ma chiari. Sono stati poi due figli d’arte a rendere più cupo lo scenario: al brillante dottor Davide non tutti hanno perdonato la presenza foglio e penna per dire a x o Y cosa fare, al Vice Presidente Edoardo nessuno ha espresso apprezzamento per toni e pose, secondo quanto ha fatto trapelare la squadra e le ormai invadenti telecamere hanno testimoniato. In mezzo, il vuoto assoluto. Una società senza filtri, in cui i vertici apicali non potevano che fare a cornate nel momento difficile.
Ora Gattuso. Che il web ha accostato a don Gennaro il boss e allo stesso al Santo Patrono. Ma non sono solo canzonette, per dirla con l’arguzia di Eduardo Bennato. Gattuso è la speranza in tuta di uno che possa dialogare coi calciatori parlando la lingua dei vicoli. Ma forse è un discorso più adatto ad una squadra di giovanissimi con fame che a ormai imbolsiti trentenni col conto spalmato su vari continenti. La prima cosa che con senso pratico Rino ha chiesto è stata la domanda della strada: il problema qual è? Le multe, è stato risposto. E lui ha detto: il percorso delle multe è lungo e non voglio entrare nel merito se sia stata una cosa determinata da chi, ma so che proverò a far capire che noi ci mettiamo tutto. Voi però tornate ad essere quello che siete.
Contro il Parma qualcosa si è visto come voglia di dialogo in campo, alcuni fraseggi hanno perfino ringalluzzito. Poi due scivolate con una terza commessa dal tecnico: contro un contropiede come quello del Parma che esalta un Gervinho punto dalla spina santa di Albanella, quella della eterna giovinezza, non si può passare al centrocampo a due togliendo Allan. Ma è chiaro che anche Gattuso deve conoscere meglio i suoi e capire da vicino cosa possono fare e cosa vorrebbero fare ma non ce la fanno più.
Intorno al generoso tentativo di Ringhio, mai soprannome fu più azzeccato per un autentico lottatore tutto cuore e polmoni, servirebbe un apparato che è invece rimasto quello di prima: inesistente. O perlomeno non all’altezza. Ai tifosi rimasti fuori a sostenere ma anche a far capire che bisogna cambiare, nessun segnale. Come fossero una parte scenografica del prodotto calcio, non il sentimento che segue e insegue la sua passione a costo di sacrifici. Non c’è un elemento che possa essere capace di dialogare con loro? Da qualche giorno se n’è andato Franco Janich che senza scomodare Italo Allodi, il numero uno, è stato un ds come si diceva un tempo di lungimirante senso della collegialità ma anche della condivisione e della voglia di amalgamare tutte le componenti. Rino Gattuso ha davanti la lunga sosta natalizia per correggere il necessario. Ma si può avere certezza di una cosa: prima di farsi affondare, chiederà a chi di dovere di liberarlo dal peso di elementi ormai fuori sincrono. Gennaio è mese propizio per l’operazione pulizia anche se in chiusura mi sento di dire che il Napoli ha perso con Ancelotti una straordinaria occasione per crescere come club: un allenatore la cui competenza è riconosciuta nel mondo, che la Fifa ha inserito nell’elenco dei coach testimonial del gioco. Elegante, garbato, prossimo a rientrare da un portone dopo la chiusura della porta partenopea. Fuori posto aveva solo il famoso sopracciglio sinistro, prima che anche quell’archetto diventasse una nota piatta, una linea lunga senza ritmo, sconfitto dal sentirsi solo e non più al centro di un progetto. Per ora con la minuscola.
Ora Gattuso. Che il web ha accostato a don Gennaro il boss e allo stesso al Santo Patrono. Ma non sono solo canzonette, per dirla con l’arguzia di Eduardo Bennato. Gattuso è la speranza in tuta di uno che possa dialogare coi calciatori parlando la lingua dei vicoli. Ma forse è un discorso più adatto ad una squadra di giovanissimi con fame che a ormai imbolsiti trentenni col conto spalmato su vari continenti. La prima cosa che con senso pratico Rino ha chiesto è stata la domanda della strada: il problema qual è? Le multe, è stato risposto. E lui ha detto: il percorso delle multe è lungo e non voglio entrare nel merito se sia stata una cosa determinata da chi, ma so che proverò a far capire che noi ci mettiamo tutto. Voi però tornate ad essere quello che siete.
Contro il Parma qualcosa si è visto come voglia di dialogo in campo, alcuni fraseggi hanno perfino ringalluzzito. Poi due scivolate con una terza commessa dal tecnico: contro un contropiede come quello del Parma che esalta un Gervinho punto dalla spina santa di Albanella, quella della eterna giovinezza, non si può passare al centrocampo a due togliendo Allan. Ma è chiaro che anche Gattuso deve conoscere meglio i suoi e capire da vicino cosa possono fare e cosa vorrebbero fare ma non ce la fanno più.
Intorno al generoso tentativo di Ringhio, mai soprannome fu più azzeccato per un autentico lottatore tutto cuore e polmoni, servirebbe un apparato che è invece rimasto quello di prima: inesistente. O perlomeno non all’altezza. Ai tifosi rimasti fuori a sostenere ma anche a far capire che bisogna cambiare, nessun segnale. Come fossero una parte scenografica del prodotto calcio, non il sentimento che segue e insegue la sua passione a costo di sacrifici. Non c’è un elemento che possa essere capace di dialogare con loro? Da qualche giorno se n’è andato Franco Janich che senza scomodare Italo Allodi, il numero uno, è stato un ds come si diceva un tempo di lungimirante senso della collegialità ma anche della condivisione e della voglia di amalgamare tutte le componenti. Rino Gattuso ha davanti la lunga sosta natalizia per correggere il necessario. Ma si può avere certezza di una cosa: prima di farsi affondare, chiederà a chi di dovere di liberarlo dal peso di elementi ormai fuori sincrono. Gennaio è mese propizio per l’operazione pulizia anche se in chiusura mi sento di dire che il Napoli ha perso con Ancelotti una straordinaria occasione per crescere come club: un allenatore la cui competenza è riconosciuta nel mondo, che la Fifa ha inserito nell’elenco dei coach testimonial del gioco. Elegante, garbato, prossimo a rientrare da un portone dopo la chiusura della porta partenopea. Fuori posto aveva solo il famoso sopracciglio sinistro, prima che anche quell’archetto diventasse una nota piatta, una linea lunga senza ritmo, sconfitto dal sentirsi solo e non più al centro di un progetto. Per ora con la minuscola.