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A Bologna il ricordo di Ayrton Senna, trent’anni dopo la sua tragica scomparsa

A Bologna il ricordo di Ayrton Senna, trent’anni dopo la sua tragica scomparsa

Da sin. Zanetti, i relatori (Cavicchi, Zanetti, Boccafogli, Minardi, Orsi), in foto con Santori – delegato metropolitano ai Grandi Eventi, il Sindaco di Imola Panieri, l’assessora allo sport Bo Li Calzi – Foto Roberto Bastia.

di Alberto Bortolotti – Consigliere USSI

Il Nurburgring è il circuito di Lauda, che vi è sopravvissuto grazie ad Arturo Merzario. Montecarlo “appartiene” a Lorenzo Bandini, pilota un po’ romagnolo di Brisighella e un po’ emiliano di Reggiolo che muore in un incendio della sua Ferrari causa imperizia dei soccorritori. A Zolder la Ferrari di Gilles Villeneuve cappotta e il canadese volante che aveva duellato perfino con un aeroplano a Rivolto, in Friuli, lascia i suoi estimatori.

Tra i 44 piloti di Formula 1 deceduti in corsa non c’è nessuno che possa rivaleggiare con la classe, la forza, la personalità di Ayrton Senna, che il 1 maggio del ’94, alla curva del Tamburello di Imola, va a muro perché lo sterzo della sua Williams non gli aveva permesso di seguire la curva. Il piantone spezzato giacerà lì, sull’erba, un pezzo gli si era conficcato sotto il casco causandone, in pratica, la morte immediata.

Il direttore “storico” di Autosprint, Carlo Cavicchi, ha così immaginato il futuro di Ayrton sopravvissuto a quell’incidente stupido…e finale: “Oggi sarebbe presidente del Brasile, o al peggio della Fia, la Federazione Motoristica. Aveva una capacità di sintesi incredibile: in cinque parole ti spiegava la situazione. Memorabile la sua definizione del rivale Mansell: l’unico pilota che, quando è dietro di te, vedi da entrambi gli specchietti retrovisori”. Ma Senna, nel Principato, con gomme usurate e il cambio da gestire manualmente, a maggio 1992, non lo fece passare ugualmente. Il leone britannico non poté superare la pantera brasiliana.

Cavicchi sta organizzando a Torino, in occasione del trentennale dal decesso di Senna, una gigantesca mostra piena di memorabilia del brasiliano: tute, kart, f1, libri, gadget. Il suo allievo Franco Nugnes, oggi direttore di Motorsport.com, sta uscendo con un volume sul processo. Quello in cui i team inglesi, Williams in specifico, non volevano ammettere la loro colpevolezza. La FIA era nelle mani del loro santo protettore, il “radicale” Max Mosley, anti-italiano della prima ora. Gli organizzatori locali furono assolti.

Di tutto questo si è parlato sabato a Bologna, sotto le volte stuccate tardo ottocentesche di Sala Borsa, un gioiello architettonico per un gioiello di dibattito. Direttore d’orchestra il capo della comunicazione della Rossa, Roberto Boccafogli, garbato e competente, all’epoca inviato di quella formidabile cantera che è stata Autosprint. Con lui, il già citato Cavicchi, il cui settimanale per mesi uscì con un significativo “Vogliamo la verità”, il fotografo/inviato, amico e confidente di Ayrton, Angelo Orsi, le cui mostre in bianco e nero (opere sue e di Mirco Lazzari) sul brasiliano stanno impreziosendo i portici di Castel San Pietro, dove Senna alloggiava quando fluttuava tra Imola e Bologna, redazione di Autosprint a San Lazzaro e casa Orsi tra il Dall’Ara e il PalaDozza. E poi i suoi primi mentori, Massimo Zanetti, il signor Segafredo, gentile e commosso dispensatore di risorse, e Giancarlo Minardi: “Aveva un che di spirituale, negli occhi e nel modo di fare. Alla prima corsa, in Brasile, Cecotto che era in scuderia con lui si qualificò in prova – dice l’imprenditore trevigiano – lui no e tornò ai box in lacrime. Ma dalla gara successiva, fu sempre davanti lui. Fino al compimento del destino”. Sottolinea il Presidente di Formula Imola, eroico difensore della artigianalità delle corse: “Quando ancora correva in Formula Ford, ero stato il primo e l’unico ad offrirgli un posto nella mia scuderia, senza chiedergli un contributo economico per avere una monoposto. Lui se ne ricordò sempre. Una sera, durante una cena a cui partecipava anche Angelo, mi disse: vinco cinque titoli mondiali e finisco la carriera con te nel Minardi Team. Allora il sogno era quello, eguagliare Fangio”.

Angelo Orsi, occhi velati dalla tristezza dell’aver prematuramente perso un fratello, ricorda lo sbarco in Williams e i difficili inizi del ’94: “L’auto è costruita sulle misure e le preferenze di Prost. Io, se mangio un panino, non entro nell’abitacolo”.  “Mi piace l’Italia, mi piacciono le vostro foto, ci mettete passione”.

Sì, Senna sarebbe finito in Ferrari e ciò avrebbe sbarrato la strada a Schumi. Il destino prende, il destino dà. Poi una sciocchezza può cambiare tutto. Ma i ricordi restano. E piacciono, la sala era gremita, con tanti giovani. Quelli a cui piacciono i racconti di chi c’era, e per fortuna non si accontentano del web.

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