Alberto Bortolotti, consigliere USSI
Ho avuto il privilegio di scrivere la storia della Virtus. Un volume editato durante la proprietà di Claudio Sabatini, un proprietario geniale che salvò la V nera, la portò a vincere una coppa e a giocare una finale scudetto ed espresse sempre la sua rivalità con Cazzola (compagno di giochi giovanili con Alberto Bucci, stesse quartiere di provenienza: la Bolognina, proprio quella di Occhetto), il proprietario più vincente della storia bianconera.
In quel volume Bucci, vincitore dello scudetto della “stella” al defunto palazzone di San Siro, l’impianto che crollò sotto la neve di Milano (io c’ero, quel giorno), occupa un ruolo decisivo.Era il 27 maggio 1984. A capitanare quella Virtus una coppia d’eccezione di coach, il capo era Alberto Bucci e il vice Ettore Messina.
Il pezzo più importante della carriera di un allenatore poliemielitico, non giocatore per impossibilità, ma cresciuto a pane, mortadella e basket, già dispensatore di tecnica nelle minors petroniane, poi in Fortitudo, a Rimini (che diventerà, più tardi la sua città: è lì che si è spento) e Fabriano, una delle piazze “diffuse” di cesti, sogni, speranze e concretezza. Una Cantù del Centro Italia.
Quella notte tutte le luci del “Madison” bolognese in Piazza Azzarita si accendono per aspettare l’arrivo degli eroi di Milano. E una città splende di gioia per opera di tanti, ma soprattutto dell’accoppiata tra il patron Porelli e il tecnico. Il quale poi sfiorerà il titolo a Livorno, vincerà la Coppa Italia con Verona, tornerà in Virtus con Cazzola a trionfare ancora e poi farà altro.
Entra nella Hall of Fame del basket, fa il motivatore per vari sport, l’opinionista radiotv, perfino il politico (a modo suo !) e chiude da presidente della “sua” Virtus, presa in A2 e riportata, ora, in Europa.
Bucci era un dispensatore di vita. Ha sorpassato le sue carenze fisiche e, finché ha potuto, la sua malattia, con un misto tra saggezza e combattività senza pari.
Un bravo collega, Walter Fuochi, ne ha scritto in un libro promosso dall’avvocato Porelli, “Il Mito della V nera 2”, che narra la vita di tutte le Virtus (fino a nove sezioni, una polisportiva) tra il ’71 e il ’94.
Lo paragona a Bearzot, con la sua capacità di isolare la squadra dai rumor e dalle influenze esterne. Verissimo, i tratti caratteriali si somigliano molto e si possono ora confrontare de visu, lassù.
Manca solo una cosa. Il citì calcistico era soprannominato “il vecio”. Non possiamo certo applicare questo nickname ad Alberto, morto a 70 anni.
E’ proprio vero che il destino può essere crudele. Ed è per questo che la sua eredità variegata, da Leonardo dei cesti, non deve andare dispersa.
Alberto Bortolotti